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Luglio 2019

    II Cervino è sempre più fragile. I segnali d’allarme sono evidenti, e negli ultimi anni sempre più frequenti: si va dal ritiro dei ghiacciai ai pezzi di roccia che si staccano dai suoi versanti. La montagna si sta sgretolando e ciò avviene a causa del caldo, dello scioglimento del permafrost e anche dell’acqua che entra nelle fessure della roccia. I cambiamenticlimatici in atto, insomma, la Terra che si surriscalda: è per questo che la Gran Becca è sempre più malata. Lo dice una ricerca dell’Università di Zurigo, che dal 2007 misura gli spostamenti del gigante, meta ambita dagli alpinisti e ora anche dagli scienziati. La ricerca si chiama Permasense, i risultati sono stati pubblicati sul «Journal of Geophysical Research».

    Gli allarmi si succedono almeno dal 2003, da quando cioè sul Cervino hanno cominciato a verificarsi fenomeni franosi sempre più gravi. Ma ora il problema dello sgretolamento di una delle montagne più iconiche e conosciute nel mondo, il Cervino appunto (che con i suoi 4478 m di altitudine è la terza vetta italiana), è ormai un problema conclamato. Tanto che i ricercatori del Federal Institute of Technology of Zurigo (ETH) hanno deciso, lo scorso giugno, di installare sul versante svizzero 50 sensori di movimento a quota 3692, attraverso i quali sarà possibile monitorare nel corso del mese la stabilità della roccia e prevedere eventuali frane.

    Annus horribilis

    Le ragioni del progressivo sgretolamento, nemmeno a dirlo, riguardano il riscaldamento climatico, che comporta sbalzi climatici sempre più violenti, con conseguente alterazione delle stabilità della roccia. E il Cervino di questo ne ha già risentito, ecco. L’annus horribilis fu nel caldissimo 2003, quando si registrarono diverse frane: la prima — come riporta il portale Montagna.tv — verificatasi il 5 agosto, che colpì il tratto della «Corda della sveglia»; la seconda il 18 agosto che spazzò via l’intera «Cheminée», storico passaggio nei pressi del Rifugio Jean-Antoine Carrel.

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    Bollettino

    L’installazione dei sensori arriva a distanza di 12 anni dal primo intervento analogo, che avvenne, sempre per opera dei ricercatori di Zurigo, nel 2007. All’epoca vennero piazzati 17 rilevatori con sensori wi-fi sempre sul versante svizzero, che erano in grado di monitorare praticamente in tempo reale (con un ritardo di 30 secondi, un minuto) i movimenti della roccia. «L’idea — dissero gli studiosi dell’Istituto — è quella che anche per i crolli si sviluppi un sistema simile a quello dei bollettini valanghe. Se in una zona viene segnalato un problema, dovremmo essere in grado si intervenire tempestivamente».

    Inevitabile

    La cosa certa è comunque che , al di là di tutto, sarà difficile bloccare un fenomeno che appare incontrovertibile. Secondo uno dei ricercatori del ETH Jan Beutel, che ha parlato al Daily Mail, è possibile definire una sorta di «piano di rottura con distacco progressivo di porzioni di roccia; sebbene comunque «queste fratture con caduta di parti della cima non porteranno al crollo della vetta, ma certamente ne modificheranno la conformazione attuale».

    Fonte: corriere.it

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