Scalare le montagne puo’ danneggiare il cervello, a dimostrarlo una ricerca basata su osservazione diretta di sportivi disponibili all’esperimento
Scalare le montagne e’ certamente un’attivita’ sportiva di pregio e di merito, puo’ anche dare delle emozioni uniche ed eccezionali, ma prima di improvvisare un’arrampicata e’ bene verificare che il proprio stato di salute sia buono, perche’ ci sono delle situazioni in cui e’ meglio declinare e rinviare a miglior data.
Lo studio effettuato sulle attivita’ sportive in montagna parla di vari sport, ma si concentra particolarmente sull’arrampicata sportiva e sulla scalata della roccia. Gli scalatori che si sono sottoposti ad osservazione sono stati valutati con una Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) prima della partenza, confrontata con la risonanza al rientro.
Per dare una interpretazione dei risultati sono state collegate le diverse immagini della risonanza, con un confronto di Voxel Based Morphometry: una tecnica che consente di quantificare la sostanza presente nel cervello.
Questa tecnica e’ quella che piu’ spesso si usa attualmente, a livello internazionale e nazionale, serve per valutare lo sviluppo delle patologie e per monitorare il cervello nell’ottica della prevenzione.
Quando si usa questa tecnica, essa viene chiamata brevemente VBM, che si traduce in esame di regioni cerebrali specifiche, con possibilita’ di valutare anatomia e sviluppo del cervello, in quantita’, dimensioni, distribuzione etc.. per questo motivo essa viene usata in situazioni come: prima infanzia e sviluppo, trattamento farmacologico, traumi o lesioni, malattie progressive e problemi neurologici.
Gli scalatori sono stati osservati in fasi diverse del loro percorso: ad esempio sono state tentate diverse prestazioni eccezionali, per misurare che cosa succedeva al loro cervello.
Rimandando alla ricerca per l’analisi fredda dei dati segnaliamo invece le conclusioni a cui sono arrivati questi sperimentatori.
Lo scalare la montagna comporta uno sforzo del cervello e causa dei mutamenti: in alcuni casi questo sport puo’ essere determinante per i danni sulla materia grigia, prima causa fra tutte la riduzione dell’apporto di ossigeno, nonche’ il variare della pressione atmosferica e la rarefazione della composizione dell’aria, con carenza percentuale di certi tipi di gas indispensabili all’equilibrio all’interno dell’organismo.
Non sarebbero esposti al rischio solo i neofiti, anche gli esperti e gli allenati possono rischiare, specialmente se ci sono improvvisi sbalzi di pressione e cause atmosferiche che alterano l’equilibrio gassoso dell’aria. Sarebbe importante ora completare l’osservazione con le attivita’ del cervello in sottomarina, per capire quando la nostra materia grigia e’ piu’ portata alla prestazione e quando invece si rischia di piu’.
Fonte: tantasalute.it – Autore: Martina Cecco