Tutti ne parlano, ma ben pochi l’han visto in quel di Val Masino.
Fra gli esseri mostruosi e leggendari di cui la fantasia contadina ha popolato selve, boschi ed alpi, il Gigiàt della Val Masino merita sicuramente un posto d’onore. La sua figura è abbastanza indeterminata, ed unisce in sé tratti comico-grotteschi ed orripilanti. Secondo le fonti più accreditate, che fanno capo ai due rifugi Gianetti ed Allievi, l’habitat dell’animale è rigorosamente circoscritto alle valli Porcellizzo, del Ferro, Qualido e di Zocca, ma la questione è controversa. Non è certissimo neppure di che animale si tratti: probabilmente è un incrocio fra un caprone ed un camoscio (o stambecco), dal pelo lunghissimo (che si fa tosare ogni primavera) e dalle dimensioni gigantesche, tanto da poter attraversare un’intera valle con pochi balzi. L’aspetto più enigmatico di tutta la faccenda, però, è che, nonostante le sue dimensioni, ben pochi riescono ad avvistarlo, fondamentalmente solo le guide alpine.
I tratti dell’animale oscillano fra il comico-grottesco ed il terrificante. Comico è il suo aspetto tutto sommato goffo, ed anche il particolare del terribile puzzo che, sembra, emani; terrificante è la consuetudine di integrare la sua dieta, fondamentalmente vegetariana, con qualche pasto a base di escursionisti o alpinisti solitari, sorpresi ad addentrarsi nei suoi remoti territori. Comica è, anche, la sua natura inquieta e dispettosa: pare, infatti, che ami anche partecipare alle danze delle marmotte ed oscillare sui rami degli alberi con gli scoiattoli. Una sola volta, si racconta, ne venne catturato un esemplare, che tuttavia non sopravvisse molto alla cattività: portato a Morbegno per essere esibito alla cittadinanza incredula, non tollerò il clima del fondovalle e morì di raffreddore.
Della sua figura si legge, sulla parete di una casa di San Martino, all’imbocco della Val di Mello: “El Gigiat, nume tutelare de esta splendida valle. Buono con lo homo che natura rispetta, mala sorte a chi lo trovasse non rispettoso. Onori et gloria a chi el vedesse e notizia ne desse…” Animale fantastico sì, dunque, ma non bestia, anzi, quasi espressione di un’arcaica saggezza e giustizia, che non fa male al buono, ma punisce il malvagio. Per questo è non solo temuto, ma anche rispettato: è ancor viva la consuetudine di lasciare, d’inverno, un po’ di fieno nei prati, perché possa sfamarsi.
Il Gigiat di Val Masino è una variante di un più diffuso mito: di Gigiat, infatti, si parla anche nella Costiera dei Cech, in diversi altri luoghi della Valtellina ed in Valsassina. Uscita dai severi bastioni granitici della Val Masino, la sua figura assume tratti più vaghi, che rimandano all’antichissimo mito del dio Pan, connesso con l’inesauribile fecondità della natura ed il ciclo che sempre si rinnova della vita. Così, si dice, il Gigiat non è più grande di 40-60 cm., ama far udire il suono del suo zufolo senza farsi vedere, si nasconde anche dietro ricci e foglie di castagno d’autunno, è un essere a metà fra l’uomo ed il capro, o forse anche un folletto burlone e bizzarro, che ama il dono delle castagne più belle che i contadini lasciano esposte per lui. Insomma, è impresa vana farne un ritratto troppo preciso: ancora oggi, nell’epoca in cui la tecnologia ci permette di documentare ogni minimo aspetto del territorio montano, nessuno è riuscito a catturarne l’immagine.
E allora, non possiamo non concludere dando conto, per onestà, anche delle versioni più scettiche della storia del Gigiàt, almeno per quel che riguarda la Val Masino. Raccolta dalla viva voce di Giuseppina Pedrola, morta alle soglie dei cent’anni e bisnonna acquisita di chi scrive, una di queste versioni suona più o meno così. All’origine della credenza del Giagiàt c’è una colossale burla, ai danni di un ricchissimo e stravagante conte morbegnese, che si vantava di aver raccolto nella sua dimora tutto quanto di più curioso e raro la terra di Valtellina potesse offrire. Autori della burla due abitanti di San Martino, che gli dissero di aver visto, nei pressi del pizzo Badile, un animale spaventoso, enorme, dal pelo caprino lunghissimo e nero e dalle narici vomitanti fiamme. Il conte arse allora dal desiderio di poter arricchire la sua raccolta di rarità catturando quell’animale prodigioso, ed anticipò una cospicua somma di denaro ai due, purché si impegnassero a catturarlo. E’ facile intuire quel che accadde: del Gigiàt e dei due non si vide più neppure l’ombra, e da allora sono trascorsi due secoli buoni, senza che nessuno abbia saputo portare prove attendibili sull’esistenza del fantomatico animale. Questo dicono gli scettici.
Lasciamo ai lettori la scelta di quale scuola di pensiero abbracciare. Ma qualunque sia la scelta, lasciarsi vincere dalla fantasia percorrendo un sentiero tappezzato di foglie di castagno o una mulattiera circondata da pareti di granito rallegra lo spirito e regala un’emozione che non costa nulla.
Fonte: waltellina.com – Testi a cura di M. Dei Cas