Nei pressi della Cros de l’Alp, sulla dorsale monte Padrio-monte Gavia a quota 2230 metri.Gruppo Montuoso:
Alpi Retiche Occidentali (Italia)
Valle: Val Grosina
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[toggle title=”DIFFICOLTÀ” state=”opened”]
[mks_highlight color=”#ffff66″]E – Itinerario Escursionistico [/mks_highlight]
Itinerario che si svolge su terreni di ogni genere, oppure su evidenti tracce su terreno vario (pascoli, pietraie, detriti), di solito con segnalazioni. Possono esservi brevi tratti pianeggianti o lievemente inclinati di neve residua dove, in caso di caduta, la scivolata si arresta in breve spazio e senza pericoli. Si sviluppa a volte su terreni aperti, senza sentieri ma non problematici, sempre con segnalazioni adeguate. Può avere singoli passaggi, o tratti brevi su roccia, non esposti, non faticosi ne impegnativi, grazie alla presenza di attrezzature (cavi, scalette, pioli) che però non richiedono l’uso di equipaggiamento specifico (imbragatura, ecc). Richiede un certo senso d’orientamento, una certa conoscenza ed e esperienza di ambiente alpino, allenamento alla camminata, calzature ed equipaggiamento adeguati.
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[toggle title=”ALTRE INFORMAZIONI”]
Località di partenza: Prati di Campo (Chemp)
Quota di partenza: 1800 m | Dislivello: 450 m | Tempo di percorrenza: 1 ora
Periodo di Apertura: Sempre aperto
Posti letto: 15 posti
Gestione: Comune di Grosio
Tel. +39 0342 847223
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[toggle title=”COME SI RAGGIUNGE”]
Per presentare il rifugio, ci si può rifare alle parole che si leggono sulla targa posata sulla facciata d’ingresso il primo agosto 1982, anno dell’inugurazione: “Questo rifugio è sorto sui ruderi di un vecchio “bait”, grazie alla buona volontà ed alle robuste spalle di un gruppo di grosini aiutati dalle offerte dei privati cittadini, delle ditte e dell’amm. comunale di Grosio. Al senso civico e alla buona educazione di quanti ne fanno uso è affidata la manutenzione e la salvaguardia della natura”. Dunque, la storia del rifugio inizia da una lodevole iniziativa di persone che, innamorate della montagna, hanno voluto aggiungere una struttura preziosa come punti di appoggio per tutti coloro che vogliono cimentarsi nell’esplorazione di un angolo dell’Alta Valtellina fra i meno conosciuti, ma non certo fra i meno meritevoli di attenzione. Un’iniziativa, almeno apparentemente, singolare, in quanto le montagne di cui può far vanto il comune di Grosio, nella ridente ed amena Val Grosina, sono di una tale bellezza, si potrebbe pensare, da non suscitare il desiderio di conoscere anche questi remoti anfratti del versante opposto. Si tratta, infatti, del solitario versante montuoso che sta immedietamente a valle di quel segmento della lunga dorsale monte Padrio-monte Gavia (la dorsale che separa le provincie di Sondrio e Brescia), denominato crinale di Varàdega o Valràdega (“fil de Valràdega”), il facile crinale compreso fra la cima di Va(l)ràdega, a nord-est (m. 2634), ed il passo di Va(l)ràdega, a sud-ovest (m. 2272). Ma, quando si ama la montagna, nessuno dei suoi aspetti può lasciare indifferenti.
Vediamo, allora, come raggiungere il rifugio. Raggiungiamo Grosio, staccandoci dalla ss. 38 all’ultimo svincolo utile, che ci porta al bivio per Grosotto o Grosio. Noi, però, non giungiamo fino al bivio, ma percorriamo un tratto del vecchio tracciato della ss. 38, che passa ad est di Grosio, fino a raggiungere il punto in cui la strada piega decisamente a destra (proseguendo diritti si raggiunge la frazione di Vernuga), imboccando un ponte sul fiume Adda. Circa seicento metri oltre il ponte, dopo aver oltrepassato la frazione Lago, troviamo una strada che si stacca sulla destra, con l’indicazione per Monno, Edolo e Passo del Mortirolo. Cominciamo, quindi, a percorrere la strada per il passo, che inizialmente, con una sede larga e comoda, sale all’ombra di un fitto bosco. Poi la strada passa accando ad alcuni maggenghi estremamente panoramici, dai quali si può godere di un ottimo colpo d’occhio sulla val Grosina. Piazzo Martino (Piaz Martìn), innanzitutto, a 1003 metri, poi Le Baite (Bàiti), a 1057 metri, Bértàgna, a 1267 metri, fino al Piodaro (Piùdéer), a 1327 metri. Qui troviamo anche, un poco sotto la strada, sulla destra, un agriturismo, che potrebbe rivelarsi un importante punto di appoggio, se decidessimo di affrontare la salita in bicicletta: si tratta della Baita del Gufo, dove si può anche pernottare (per prenotazioni, telefonare al numero 0342 847048 0342 847048 ). Poco oltre l’agriturismo, ad 8 chilometri dall’inizio della strada per il Mortirolo, ce ne stacchiamo sulla sinistra, seguendo le indicazioni per Campo (Chemp). Possiamo scegliere di percorrere questo tratto anche a piedi, considerando che la strada, asfaltata per poco più di tre chilometri (cioè fino alla parte bassa dei prati di Campo), è stretta e ripida (in alcuni casi un’automobile di bassa cilindrata con più persone a bordo potrebbe avere qualche problema). Il primo tratto della strada sale all’ombra di una bellissima pineta. Incontriamo, dopo 300 metri, un primo bivio, al quale, sempre seguendo le indicazioni per Chemp, prendiamo a destra; lo stesso facciamo ad un secondo bivio, ad 1,7 km dal primo. Raggiunti i prati di Campo, proseguiamo sulla strada, che alterna tratti asfaltati e tratti in terra battuta, con un fondo un po’ sconnesso. Alla fine, dopo 3,3, km dalla partenza della strada che si stacca da quella per il Mortirolo, raggiungiamo la baita più alta, con un cartello su cui sta scritto “Chemp – s/m 1790″. In realtà ci conviene parcheggiare più sotto, per evitare agli ammortizzatori un’inutile prova. Dalla baita parte il sentiero per il rifugio. Bisogna stare attenti a non imboccare il debole sentierino che, diritto davanti a noi, corre sul limite cintato del prato più alto, ma quello che, risalendo, alla nostra destra, verso nord-nord-ovest, la radura a monte della baita, si addentra in un bellissimo bosco di larici. Si tratta di un sentiero all’inizio (nel prato) non molto evidente, che però, poi, diventa una vera e propria mulattiera, anche se non è segnato sulle carte IGM. Superiamo, così, una seconda incantevole radura e, dopo qualche largo tornante, raggiungiamo una curiosa pianetta, poco oltre la quale troviamo, alla nostra destra, un ammasso di materiale franoso. Cominciamo, ora, ad effettuare un arco verso destra (est), che ci porta a guadagnare il filo di un dosso, lasciando alla nostra destra un valloncello parzialmente occupato da materiale franoso. Questo tratto è assai ripido, e ci porta gradualmente ad uscire dal bosco. Dopo un’ultima salita nello scenario suggestivo di una macchia che progressivamente si dirada, ci ritroviamo proprio ai piedi del rifugio, e raggiungiamo facilmente il suo piazzale, a 225 metri. Teniamo presente che il sentiero è sempre molto evidente, anche se mancano i segnavia, se si eccettua qualche raro segno azzurro o rosso; solo nell’ultimo tratto troviamo alcune frecce rosse, una delle quali disegnata su un tronco che reca scolpito un volto sorridente, sicuramente di buon auspicio, o almeno di conforto, dato che la stanchezza si fa sentire). Alla sinistra del rifugio, adagiato in una bella e piccola conca, è ben visibile la grande croce lignea che sovrasta le ultime rocce di un ripido versante: si tratta della Cros de l’Alp, dalla quale il rifugio stesso ha tratto il nome. Siamo in cammino da circa un’ora ed un quarto, ed abbiamo superato circa 435 metri in salita. Considerato lo sforzo non eccessivo, dopo una pausa ristoratrice possiamo mettere in programma un’ulteriore tratto di salita, di circa 30-40 minuti, alla volta dell’evidente sella di quota 2345, sulla verticale (in direzione est) del rifugio. Questa prosecuzione dell’escursione è motivata da diversi elementi di interesse, di natura panoramica e storica. La sella, infatti, è un ottimo osservatorio sulla cima di Va(l)ràdega, alla sua sinistra, ed il passo omonimo, alla sua destra. Guardando in direzione nord-ovest, poi, scorgiamo, oltre le cime della Val Grosina, la parte orientale della testata della Valmalenco, con il pizzo Varuna (o Verona). Si apre davanti al nostro sguardo, ad est, infine, il solco della valle di Va(l)ràdega, tributaria dell’alta Valcamonica. Ma c’è di più: alla sella giunge una mulattiera militare costruita, durante la seconda guerra mondiale, per consentire il trasporto di pezzi di artiglieria (per questo viene denominata “Canuniéra”). Il facile crinale, infatti, avrebbe assunto un rilievo strategico in caso di sfondamento, da parte austriaca, del fronte dello Stelvio. Bene ce n’è abbastanza per giustificare la facile salita, servita da un sentierino che spesso si perde, e che parte dal lato di sinistra (per chi sale) del rifugio, dove troviamo anche, qualche metro più in là, la “toilette” (così recita il cartello apposto). Il sentierino attraversa una fascia di pini mughi, poi si dirige al poco pronunciato dosso a sud del rifugio. Dobbiamo stare attenti a non perdere una deviazione a sinistra, perchè la traccia prosegue verso il passo di Va(l)ràdega. Se non la troviamo, saliamo a vista sul dosso, fino ad incontrarla. Potremmo anche salire a vista, ma la traccia ci aiuta a superare senza eccessive fatiche una fascia di massi medio-grandi. Poi, una breve salita sul facile crinale terminale ci porta alla sella, sul confine fra le provincie di Sondrio e di Brescia. (M. Dei Cas)
Fonte: waltellina.com | Autore: Peretti G. – Alpinia Editrice
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TRAVERSATE
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